Su Sanità e Benessere di dicembre: Un’interessante riflessione del prof. Vincenzo Mazzaferro sulla necessità di affrontare il tema dell’allocazione delle risorse con rigore scientifico e metodologico, senza arbitrarietà.
Il Prof. Vincenzo Mazzaferro è Direttore della S. C. di Chirurgia Epatobiliopancreatica e Trapianto di fegato della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, il primo Centro dove, 20 anni fa, si è iniziato a lavorare sull’Oncologia dei Trapianti. E che oggi, essendosi sviluppata enormemente, necessita di un nuovo protocollo che, nella decisione di come allocare un organo, guidi i medici nella scelta più appropriata con criteri scientifici, solidi e non arbitrari.
Professore quale tipologia di pazienti è oggi in lista d’attesa per un trapianto di fegato?
“Quando si parla di trapianto di fegato le prospettive da presidiare e proteggere sono due: la prima è quella dell’individuo malato di tumore che, per effetto di un trapianto, può beneficiare di una cura e teoricamente guarire. La seconda prospettiva è, invece, quella della comunità di persone affette da patologie epatiche in attesa di un trapianto e che competono per l’assegnazione di un organo a loro destinato ma, come sempre, in misura deficitaria. Il trapianto di fegato può essere utile, infatti, sia a soggetti con tumore sia a pazienti che non hanno un tumore ma hanno altre patologie terminali del fegato che non possono essere guarite se non con un trapianto. Oggi la percentuale in Italia delle persone in lista d’attesa per un trapianto di fegato è fatta di un 40/45% con tumore e di un 55/60% con altre patologie epatiche. L’indicazione trapiantologica per tumore è cresciuta, infatti, sensibilmente negli anni: vent’anni anni fa sembrava utopia, oggi la metà quasi delle persone in lista d’attesa per un trapianto ha un cancro”.
Qual è oggi l’approccio all’Oncologia dei Trapianti?
“L’Oncologia dei Trapianti ha una duplice prospettiva di osservazione: quella del singolo paziente, per il quale qualsiasi indicazione di trapianto è giustificabile perché permette di avere un vantaggio rispetto al non farlo; e quella di sistema, ossia della comunità di persone in lista d’attesa, che deve amministrare una risorsa ragionevolmente limitata e comunque inferiore alle necessità e che, per poter essere giustificata, deve portare a dei vantaggi globali. Per entrambe le situazioni vanno valutati gli esiti positivi e negativi, ovvero i benefici e i rischi che ciascuna delle decisioni porta con sé”.
E qual è la sfida dei prossimi anni?
“Se si prende una decisione che porta dei vantaggi sia al singolo sia al sistema, questa è certamente una decisione appropriata. All’opposto, se si fa una scelta che non porta alcun vantaggio a nessuno, si è solamente sprecata una risorsa e dunque è sicuramente una decisione negativa. Ci sono però tutta una serie di casi in cui decidere cosa fare non è così semplice e lampante e si rischia quindi di cadere nell’arbitrarietà, decidendo a favore del singolo paziente in base a indicazioni individualizzate – valutazioni sulle sue condizioni sociali, economiche, affettive – che finiscono per prevalere su quelle generali; oppure, al contrario, decidendo di avvantaggiare il gruppo per salvare più vite rispetto a quella di un singolo paziente, utilizzando ad esempio i cosiddetti organi marginali, ossia organi non perfetti che non porterebbero vantaggio a un singolo individuo ma che andrebbero bene alla comunità in generale. Tutte queste situazioni, che sono molto delicate e vanno trattate con trasparenza e cautela, devono essere inquadrate e regolate attraverso protocolli di lavoro basati su un approccio scientifico, validati dallo studio scientifico e sufficientemente supportati dalle strutture di organizzazione e gestione dell’allocazione degli organi al fine di portare, nel giro di pochi anni, a delle informazioni solide che permettano di dire se in quella determinata situazione il trapianto sia sicuramente utile o meno. Si deve arrivare a poter prendere delle decisioni non basate solo sulla personale sensibilità del medico – che comunque conta moltissimo – ma anche su un dato scientifico, concreto, riproducibile e vero. In Italia ci sono alcuni Centri che hanno una forte sensibilità in questo senso – come il nostro – che hanno dedicato l’intero loro lavoro a fornire informazioni reali, dati veri su cui si poter costruire delle scelte sagge. Ed è questa è la principale sfida a cui è chiamata oggi la Trapiantologia per cancro. Che deve essere anche un richiamo a un investimento in risorse e a un impegno metodologico nella ricerca clinica reale sui pazienti perché si possano costruire dei percorsi davvero virtuosi. Se poi le risorse crescono – oggi ci sono delle bellissime prospettive nella ricerca sul mantenimento e il ricondizionamento degli organi per migliorarli prima del trapianto stesso per far sì che funzionino meglio – questo sarà un ulteriore vantaggio. Senza contare il supporto che ci arriva da scienza, tecnologie e innovazioni, già molto utili in altri campi per prendere delle decisioni sagge (basti pensare come le informazioni di Google Maps in tempo reale sul traffico ci consentano di scegliere per tempo quale strada prendere) e che oggi stanno diventando molto comuni anche in medicina e in particolare nella medicina di frontiera, come quella dei trapianti o, ancora di più, in quella dell’Oncologia dei Trapianti”.
Scarica il PDF dell’articolo – Sanità & Benessere – Dicembre 2019