Mi sono ammalata all’improvviso… ma era parecchio che non vivevo in modo soddisfacente… diciamo da… diciamo da circa sette-otto anni.
C’è stato un divorzio sgradevole, ma soprattutto la lunga e dolorosa cardiopatia del mio adorato padre, che a fine dicembre 2005 se ne è andato ancor giovane.
Io ho iniziato ad avere strani dolori a maggio dello scorso anno, quando pensavo di riprendere un po’ a vivere e di tirare il fiato, ma si sa, la vita è strana, e non sceglie quando colpirti all’improvviso con la crudeltà del destino. Sta di fatto che per la prima volta in vita mia ho avuto subito una strana sensazione, e cioè quella di essere di fronte a qualche cosa di grande, di brutto, anche se quei sintomi iniziali potevano essere legati ad una serie di cose delle quali ho sempre sofferto: gastrite, colite e via dicendo.
Sono una musicista, suono il Pianoforte e il Clavicembalo, ho un coro, faccio concerti ed insegno; sono sempre stata iperattiva, forse troppo, spesso perdendomi nel lavoro in maniera convulsa e nevrotica; sono sempre stata molto sensibile, prendendomi a cuore gli altri e poco me stessa, ma suscito nella gente sentimenti estremi: o totale devozione, o totale disprezzo.
In questi ultimi anni, oltre ai dispiaceri familiari, è stato pesante reggere le invidie pesanti e le cattiverie del mondo della musica, e quindi certi disturbi fisici erano ormai consueti, considerando anche che sopporto molto bene il dolore fisico. Ma quei dolori mi lasciavano ombre nere nell’anima, e mi addormentavo con sempre più fatica ogni sera, sperando di risvegliarmi il giorno dopo senza niente.
Non è stato così: a settembre i dolori erano insostenibili e tutto difficile: camminare, uscire, insegnare, suonare, dar retta alla gente, addirittura parlare, fino a che, a metà ottobre, sono diventata gialla. Mi sembrava di essere un mutante, allibendo di fronte al mio corpo che mi tradiva, e con cattiveria.
Sono stata ricoverata in una nota struttura di Milano, che non è l’Istituto, per accertamenti con l’idea di avere un’epatite. Sono rimasta in quel posto un mese, soffrendo e disperandomi ogni giorno di più per le prospettive sempre più fosche che mi si prospettavano. Arrivare alla diagnosi è stato infernale: il tempo infinito che avevo per pensare non serviva che a farmi disperare: sono una persona forte, forse fortissima, ma ho disperato per la crudeltà del destino ingiusto che metteva noi, ancora una volta, di fronte alla sofferenza feroce: in particolare, non sopportavo di dare un dolore così grande a mia madre e mia sorella Simona.
Sono stata fortunata ad averle vicine; sono state i miei angeli, mi hanno costretta a reagire sia per loro che per me stessa, non mi hanno mai lasciata sola, ed a loro devo tantissimo. Le cose sono cambiate di fronte all’esito nefasto dell’ultimo esame fatto in quell’ospedale, una tac con contrasto, per cui ‚ lei ha un tumore al pancreas, è dei più brutti, e l’intervento è pressoché impossibile ecc. ecc.‛. Non dimenticherò mai la faccia di mia madre e di mia sorella, la loro disperazione, e di fronte a ciò ed alla cattiveria di chi mi ha reso edotta della mia condanna ho cominciato a risalire dal baratro.
E’ strano il fatto di pensare che non ci può capitare una cosa simile, non a noi ma agli altri, e poi io sono giovane, non mi sarebbe mai venuto per la testa di dover fare i conti così presto con una malattia così grave. Ho rifiutato la bestiolina che mi stava creando tutto quel caos con determinazione, ed ho imparato da subito, da quando sono entrata in Istituto la prima volta per cercare un’ancora di salvezza nell’oceano agitato nel quale ormai mi trovavo, ad aspettare, ad avere pazienza, a respirare, a vivere minuto per minuto.
Sono stata ricoverata il 4 dicembre del 2006, sono stata operata l’11 dicembre dal Dott. Mazzaferro e dai suoi angeli, sono stata dimessa la vigilia di Natale, venti giorni dopo il mio ricovero; non è stata una passeggiata, ma ho ricominciato a guardare alla vita in modo sereno, ad essere felice per il sole fuori dalle vetrate o per un tramonto particolarmente struggente.
Mi sono rimessa in piedi subito, anzi, mi hanno rimessa in piedi subito, non facendo minimamente caso ai dolori, pesanti all’inizio, quando tutto è difficile, camminare, alzarsi dal letto, andare in bagno. Non ho mai avuto vergogna, proprio io la fredda e forte, di essere fragile e di avere bisogno degli altri, perché così si diventa ed è giusto esserlo in momenti di questo genere: una parola detta con garbo da un medico o un infermiere mi fa bene al cuore, così come i fiori che mi portano quasi tutti i giorni per colorare le mie ore quando sono sola, o sapere che ogni sera, a casa, la mamma e la Simo passano quasi due ore a smistare le telefonate di gente che vuole sapere di me.
La sofferenza è una strana condizione, che azzera le differenze anagrafiche, sociali e culturali di chi si trova insieme con gli stessi problemi; i legami che si creano non avrebbero sicuramente ragione di essere in condizioni normali, ma è proprio questa la bellezza della vita, visto che torni fuori con una ricchezza in più. Io ho avuto fortuna, non ho nemmeno fatto chemioterapia, anche se il mio intervento è stato molto difficile. Devo tutto a chi mi ha operata e curata, ma anche alla mia famiglia, a chi mi vuol bene (ed io me ne ero dimenticata) ma tanto anche a me stessa: a chi si trova adesso in situazioni analoghe faccio tanto coraggio, spronando tutti a pazientare, non avere fretta, sperare e mettere tutta la forza che si ha nei propri nervi, come diceva una canzone di molti anni fa. Siete sicuramente in ottime mani, ma il nostro destino, in bene e in male, è in parte dovuto anche a noi, e nella guarigione ha molta importanza la nostra voglia di vivere.
Con tanto affetto Paola Favarelli