Chirurgia Epatobiliopancreatica e trapianto: cosa c’è di nuovo. Gli studi sui tumori epatici primitivi su base metabolica e la nascita di una nuova specialità, l’oncologia dei trapianti, aprono ulteriori prospettive ai pazienti affetti da neoplasie.
È uscito su Sanità & Benessere, allegato del Corriere Della Sera-La Repubblica, un interessante articolo con l’intervista al Prof. Vincenzo Mazzaferro, Direttore della S. C. di Chirurgia Epatobiliopancreatica e trapianto di fegato presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.
Professore, quali sono le principali patologie collegate al fegato?
“Le aree principali sono due: quella oncologica e quella delle patologie di tipo cronico – congenite, infiammatorie, traumatiche e di varia altra eziologia. Per quanto riguarda l’area oncologica, i tumori del fegato si distinguono in tumori primitivi (ossia quelli insorti direttamente nel fegato) e metastatici, in cui il fegato è sede di metastasi di qualsiasi origine. Se per i primi esiste una expertise correlata al mondo della gastroenterologia, dell’epatologia, della medicina interna e del trattamento delle patologie croniche che si accompagnano a malattie del fegato, per la seconda tipologia si tratta, invece, di patologie che si affrontano insieme agli altri specialisti oncologi dei tumori di partenza da cui la malattia è originata. L’approccio strategico, quindi, al trattamento di queste neoplasie è multidisciplinare con team di specialisti integrati ma molto diversi tra loro”.
Quali sono le principali novità nel campo dei tumori al fegato?
“Per quanto riguarda i tumori primitivi, la novità più importante è il cambio di epidemiologia. Rispetto agli
anni passati, infatti, sono sempre meno i pazienti con patologie croniche da virus (soprattutto dell’epatite C, ormai sconfitta dai farmaci ad azione diretta), mentre si assiste a una rapidissima crescita, in Italia così come all’estero, di pazienti – uomini e donne di ogni fascia d’età – con tumori su una patologia metabolica cronica a cui si associa ipertensione, diabete, colesterolo alto, sovrappeso, sedentarietà… Assistiamo dunque a una rivoluzione nel modo di lavorare perché tutte le conclusioni per il trattamento dei tumori epatici a cui eravamo giunti negli ultimi 20 anni e che avevano portato a individuare terapie più o meno efficaci cominciano a vacillare perché sono cambiati i pazienti e la forma in cui le patologie si presentano. Oggi il nostro sforzo di innovazione e di necessità è di lavorare sulla patologia tumorale epatica insorta su una base metabolica”.
Come state affrontando questo cambiamento come Istituto dei Tumori?
“Questa tipologia di pazienti è molto più complessa da gestire perché ad esempio è molto meno sorvegliata da un punto di vista della problematica epatica cronica, in più gli specialisti con i quali dobbiamo confrontarci sono molteplici, ci sono nuovi protocolli da seguire sulla base di linee guida a volte divergenti. Tutto questo ci porterà, nei prossimi anni, a una riscrittura totale delle strategie da seguire. Tuttavia all’Istituto dei Tumori di Milano abbiamo un vantaggio acquisito sul campo perché moltissimi dei nostri pazienti con patologie metastatiche hanno subito lunghi trattamenti farmacologici di chemioterapia che ha provocato una serie di alterazioni nel fegato – una fra tutte la steatosi – che assomigliano, almeno in parte, a quelle provocate dalle patologie metaboliche. Anche se le eziologie sono diverse, il risultato finale in termini di compromissione epatica e di co-morbilità è molto simile”.
A livello di trapianti, invece, a che punto siamo?
“Il mondo dei trapianti è il laboratorio più avanzato di tutta l’area della terapia oncologica del fegato. Quello del fegato è, infatti, ad oggi l’unico trapianto di organi solidi riconosciuto come terapeutico per la cura del tumore. Quello che sta succedendo ultimamente è che l’indicazione al trapianto non è più solo per tumore
epatico primitivo ma anche per metastasi. L’Istituto dei Tumori è coordinatore di uno studio nazionale, a cui hanno aderito la gran parte dei Centri di Riferimento, in cui si sta sperimentando la prospettiva del trapianto di fegato per i pazienti portatori di metastasi per il tumore del colon. Potenzialmente si tratta di un enorme passo avanti se si pensa che i tumori del colon sono la seconda causa di morte per cancro. Siamo di fronte alla nascita di una nuova specialità – la transplant oncology ossia l’oncologia dei trapianti – che va oltre l’indicazione classica del carcinoma epatico per estendersi anche ad altre indicazioni. Ad esempio le metastasi da tumori neuroendocrini che abbiamo visto poter essere controllate e guarite in molti casi dal trapianto di fegato; da quest’esperienza siamo passati a occuparci anche di metastasi da colon retto. Al momento abbiamo alcuni pazienti trapiantati nell’ambito di questo nuovo protocollo costruito con la collaborazione di molti oncologi medici, consci che esiste una categoria di pazienti in chemioterapia da lungo tempo che mantenendo una diffusione di malattia tumorale solo a livello epatico, può puntare a una potenziale guarigione o a un netto prolungamento della sopravvivenza per effetto del trapianto di fegato. L’obiettivo è di arrivare a 25/30 pazienti sui quali valutare se il trapianto di fegato possa essere davvero un’opzione alternativa rispetto alle terapie tradizionali. In questa prospettiva risultano fondamentali tutte le terapie aggiuntive e adiuvanti di riduzione del carico tumorale: non solo i farmaci di nuova generazione ma anche le terapie locoregionali (dalla chirurgia, alla chemoembolizzazione, alla radioembolizzazione, alle tecniche di ablazione) che possono essere un validissimo supporto al trattamento completo del tumore e andrebbero maggiormente valorizzate”.